recensione

L’ultimo giorno di un condannato // Victor Hugo

Prefazione alla prima edizione
Ci sono due modi di considerare l’esistenza di questo libro. O c’è effettivamente stato un fascio di fogli ingialliti e irregolari su cui sono stati rinvenuti, registrati a uno a uno, gli ultimi pensieri di un miserabile; oppure c’è stato un uomo, un sognatore intento a osservare la natura a profitto dell’arte, un filosofo, un poeta, chissà, e questa idea è frutto della sua fantasia, l’ha presa o piuttosto se n’è fatto prendere, e non ha potuto sbarazzarsene se non mettendola in un libro.
Tra le due spiegazioni, il lettore scelga quella che vuole.”

Ho appena finito di leggere questo libro, e a mio parere è uno di quei libri che ti rimangono dentro.
Ci troviamo nella Francia dell’800 dove la ghigliottina era all’ordine del giorno, la storia ci viene raccontata attraverso i pensieri del nostro protagonista che è un condannato a morte, nonostante questo non ci verrà mai detto cosa ha commesso. Hugo vuole farci immergere nel sul dolore, nella paura dell’attesa, ci mostra unicamente il lato umano, come qualcuno sta scegliendo per la vita di qualcun’altro.
La domanda che ci viene spontanea è, cosa da a qualcuno questo potere? Hugo ci mostra un protagonista pentito, con una famiglia, una figlia, e lo strazio che prova per una fine preannunciata. E’ un libro di cui è complicato parlare, che dev’essere letto per capirlo.

“Posso forse avere qualcosa da dire, io che non ho più nulla da fare in questo mondo? E cosa troverò nella mia mente prostrata e vuota che valga la pena di essere scritto?”

A mio parere è un libro che tutti dovrebbero leggere, anche perché molto corto, quindi alla portata di tutti.
E’ scritto davvero bene, la scrittura di Hugo è unica, ti emoziona, ti pone di fronte a molte domande, e non puoi leggere questo libro senza provare niente.

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Titolo: L’ultimo giorno di un condannato
Autore: Victor Hugo
Editore: Feltrinelli
Numero di pagine: 173 pag.
Trama: È anonimo l’autore che, nel 1829, dà alle stampe questo piccolo, gigantesco libro. Ma è inconfondibilmente Victor Hugo. Sono anni in cui il progresso sembra trasportare l’umanità intera, sul suo dorso poderoso, verso un futuro di pace, prosperità, ricchezza e fratellanza. Ma negli stessi anni si tagliano ancora teste davanti a un pubblico pagante, si marcisce in carcere, ci si lascia morire per una colpa non sempre dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. Hugo parla a nome dell’umanità, come sempre, e lo fa attraverso la voce di un uomo qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i miserabili di tutte le nazioni e tutte le epoche. Un crimine di cui non conosciamo i dettagli lo ha fatto gettare in una cella. Persone di cui non conosciamo il nome dispongono della sua vita, come divinità autoproclamate. Un’angoscia di cui conosciamo fin troppo bene la lama lo tortura, giorno dopo giorno, e gli fa desiderare che il tempo corra sempre più veloce. Verso la fine dell’attesa, venga essa con la liberazione o con l’oblio.

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Victor Hugo (Besançon, 1802 – Parigi, 1885) è considerato il capofila della scuola romantica francese. Fu autore di poesie, romanzi, opere teatrali e politico-sociali fra cui, oltre al romanzo Notre-Dame de Paris, ricordiamo: Cromwell (1827), considerato il primo dramma storico romantico, Ernani (1830), Il re si diverte (1832), da cui il Rigoletto di Verdi, I miserabili (1862), che riscosse un successo straordinario, I lavoratori del mare (1866) e l’epopea mitologica La leggenda dei secoli (1883). Feltrinelli ha pubblicato nei “Classici” Notre-Dame de Paris (2002) e L’ultimo giorno di un condannato (2012).

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