recensione

Abbiamo sempre vissuto nel castello // Shirley Jackson

“Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perchè ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.”

Ho iniziato a leggere questo libro spinta dalla curiosità, ne avevo sentito parlare molto e bene, devo dire che non mi ha deluso. Si tratta di un libro dove niente è come sembra, nel corso del libro si trovano molti indizi, che però riusciamo a capire davvero solo alla fine. Al lettore sembra di essere in un mondo a parte, dove bisogna stare attenti ad ogni dettaglio.

“Sulla luna parlavamo una lingua dolce e liquida e cantavamo alla luce delle stelle, contemplando da lassù il mondo arido e senza vita;”

Ci troviamo della casa dei Blackwood, dove anni prima la famiglia è stata avvelenata, a questa tragedia sono sopravvissute solo Mary, la sorella Costance, e lo zio Jullian, quest’ultimo però a causa dell’arsenico è rimasto in sedia a rotelle. Ma nuovi fatti vengono alla luce quando alla loro porta si presenta il cugino Charles, l’estraneo che sconvolge la routine che Costance e Mary si erano create.

La Jackson è molto brava a creare delle atmosfere di ansia e tensione, che spingono il lettore a continuare a leggere, quest’autrice è infatti conosciuta per le sue storie dell’orrore. In questo libro ci vuole mostrare la solitudine dei due personaggi, il senso di estraneità di quando ci si isola. Vi troviamo la scintilla della follia, che percepiamo anche nello zio Jullian, nella sua angoscia, nel suo folle voler ricordare, e nel voler concludere la storia a tutti i costi. Come se avesse bisogno di avere ogni dettaglio in mente. Inoltre il senso di follia è ben radicato nelle due protagoniste, queste ultime non sono mai banali, ci affezioniamo subito a Mary, per il suo modo particolare di vedere il mondo. Per il suo credere nelle parole magiche, che usa spesso come autodifesa, per cercare di allontanare quello che le fa paura.

“La domenica mattina mancava un giorno in meno al cambiamento. Ero ben decisa a non pensare alle mie tre parole magiche, anzi a cercare proprio di togliermele dalla testa, ma l’aria di cambiamento era così forte che non ci fu modo di evitarlo; il cambiamento incombeva sulle scale, in cucina e nel giardino come una nebbia.”

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Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello
Autore: Shirley Jackson
Editore: Adelphi
Pagine: 182 p.
Trama: «A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce»: con questa dedica si apre L’incendiaria di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l’Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i «brividi silenziosi e cumulativi» che – per usare le parole di un’ammiratrice, Dorothy Parker – abbiamo provato leggendo La lotteria. Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male – un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai ‘cattivi’, ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.

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Shirley Jackson è stata una scrittrice e giornalista statunitense, nota soprattutto per L’incubo di Hill House del 1959 e La lotteria. Ha esordito scrivendo per il prestigioso «The New Yorker» nel 1948. Nella sua carriera ha scritto anche opere per bambini, come Nine Magic Wishes, e persino un adattamento teatrale di Hansel e Gretel, The Bad Children. Muore per infarto nel 1965, forse a causa della terapia a base di psicoformaci che stava seguendo.

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