recensione

Epepe // Ferenc Karinthy

“Doveva battersi da solo, non c’era altra via d’uscita: doveva cambiare radicalmente, solo così avrebbe potuto ritrovare la sua vita vera, la sua persona.”

La storia di Budai, un linguista che deve recarsi a Helsinki, ma nel viaggio c’è stato un errore suo o dell’aeroporto e finisce nella città sbagliata, dove nessuno parla la sua lingua. Ci ritroviamo in un luogo caotico, dove tutti vanno di fretta, e qui vediamo la difficoltà di ritrovarsi in un luogo del tutto estraneo, senza sapere come ci si è finiti. Dove non riesce a comunicare o farsi capire dagli abitanti. Budai da che all’inizio la prende con calma, e pensa di fermarsi lì una notte per poi ripartire il giorno dopo, capirà che non sarà così semplice, e che gli eventi si complicheranno sempre di più.
Budai lavora con le lingue, riuscire a comprendere e farsi comprendere è sempre stato il suo lavoro, e nel sentirsi così estraneo sentiamo la sua frustrazione, che mano a mano diventa sempre più forte.

Come già detto in questo libro si parla dell’estraneità di trovarsi in un posto dove non riesci a farti comprendere. Noi ci sentiamo intrappolati con lui, in un mondo che non è il suo, e che mette alla prova lui stesso, quindi l’autore riesce a farci provare empatia con il personaggio.
Possiamo riflettere sull’importanza che ha la società che ci circonda, di come siamo influenzati da tutto quello che abbiamo intorno. Di come nel momento in cui tutto questo manchi non abbiamo modo di provvedere alle esigenze anche più basilari, e di come sentiamo il bisogno di sentirci parte della società.
Il finale lascia un po’ con l’amaro in bocca, mi aspettavo qualcosa di diverso, e l’ho sentito come se non fosse davvero finito, però per tutto quello che è il pre finale ve lo consiglio.

 

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Titolo: Epepe
Autore: 
Ferenc Karinthy
Edizione:
Gli Adelphi
«E’ un libro bellissimo, nel quale un profondo senso di estraniazione e di angoscia, che risale al Processo e al Castello di Kafka, dà luogo a variazioni sommamente originali. Un linguista ungherese, il professor Budai, deve andare a Helsinki, per tenere una relazione al congresso di linguistica. All’aeroporto di Budapest sbaglia uscita, sale su un volo diretto altrove, e scende in una città ignota.. Questo è il grande tema del libro: non poter parlare con nessuno: ascoltare risposte in una lingua indecifrabile; tema svolto con una fantasia tragicomica che non ha mai fine».

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